W la Superlega

Sono un tifoso del Torino, da quando sono nato, 43 anni fa.
E sono un tifoso della Super League, da diversi anni, un po’ meno ma comunque non pochi.

“Il calcio è cambiato” è una frase diventata tanto ricorrente, sulla trequarti di chiacchierate a tema con amici, o posta invece più prossima all’inizio di discorsucci con semisconosciuti al bancone del bar in zona gialla, da aver quasi perso di significato. Una sorta di “si stava meglio quando si stava peggio” declinata in forma sportiva.

Come quasi tutti questi aforismi, nonostante l’odorino di stantìo che emana essa è però al tempo stesso una verità innegabile; il calcio è cambiato davvero, eccome. Solo che quella frase non dice tutto: mentre la guardiamo, stiamo in realtà osservando allo specchio il riflesso del vero soggetto cangiante, che è la società occidentale tutta.

Voi su quale piatto state? Se siete su quello a sinistra, chiamatemi, diventiamo amici
Voi su quale piatto state? Se siete su quello a sinistra, chiamatemi, diventiamo amici

Polarizzazione. Non è la sede questa, e non sono l’autore qualificato io, per iniziare ora una riflessione tanto ampia. Eppure, sin da ragazzino ho potuto – come tutti, immagino – vedere con discreta chiarezza le linee più marcate del grande disegno, seguirle per capire dove portavano, e scoprire che il titolo dell’opera era costituito di una sola parola: “polarizzazione”.

Quel fenomeno che vede disegnarsi un gruppo ridotto di persone ricche diventare sempre più ricche, e una imponente massa di persone un tempo “classe media” andare a fare compagnia all’altrettanto ragguardevole massa di chi era povero già prima, e insieme diventare più poveri ogni anno. In mezzo ai due gruppi, un grande vuoto.

Di questo trend il calcio è un riflesso, ne rispecchia e ne segue l’andamento. Per chi come me ha scelto di essere uno sfigato non in buona parte ma proprio al 100%, e quindi oltre a tifare per una squadra “piccola” ha pure il cuore e la testa orientati da sempre politicamente a sinistra, era già così, non è una novità: la visione del calcio come specchio della società costituisce essa stessa una delle ragioni che hanno determinato la scelta del tifo, e di nuovo non stiamo a elencare nei dettagli quali siano queste spinte interiori che determinano la propria area di appartenenza, ché le conosciamo tutti bene (tensione verso una giustizia sociale, senso di solidarietà, amore per le cause perse…).

71pb+ih30mL._AC_SX679_Abbiamo perso. Ebbene, se tutto questo discorso sintetizzato in maniera tanto elementare da una penna scolastica viene compreso da qualcuno, questi sarà senz’altro cosciente del fatto che tutti quanti stiamo attraversando una fase storica dove ogni cosa in apparenza concorre a dirci una cosa, ripetuta da ogni parte anche se non vogliamo ascoltare: “Avete perso”. Che poi sia vero o meno, che in realtà sotto la cenere il fuoco sia spento come credeva Vorster oppure no, ancora una volta non è questo il posto giusto; il punto è unicamente che in quest’epoca i “padroni” hanno perso il volto e hanno vinto tutto il resto, sono diventati dei mostri tentacolari multicefali (e multinazionali), mentre la massa dei “lavoratori” ha perso e basta. Sicurezze, diritti, potere d’acquisto. Tutto. Le piccole aziende vengono schiacciate dai tentacoli delle holding, le catene di supermercati abbassano le serrande dei negozietti, e tutto questo lo sappiamo bene: l’abbiamo visto nascere, e crescere a dismisura, nei decenni.

Ma quantomeno giocavamo sullo stesso campo, allo stesso gioco: loro erano più potenti, sempre, e più forti, quasi sempre, ma a volte la classe operaia ci andava, in paradiso. Laddove il paradiso è ovviamente la vittoria, di una partita o di un trofeo, oppure una serie di viaggi fuori dai confini, o un qualche bel torneo (ce n’erano pure di più, proprio per dare più possibilità a tutti). Loro comunque vincevano più di tutti e questo non era in discussione. Ma ci si andava, ogni tanto, in quel cazzo si paradiso. E se non ci andavi oggi, potevi sperare di andarci la volta dopo.

economyFinito tutto. Poi, “il calcio è cambiato”, di pari passo con tutto il resto. Alcuni fra i più grossi hanno preso a gonfiarsi oltremisura, spesso nutriti con l’imbuto dalle mani di altri giganti di tutto il mondo, che non conoscevano nemmeno il giocattolo ma volevano comunque comprarlo. E l’hanno rotto.

Ve lo ricordate quel giocattolo bello, che qualche genitore o qualche parente o amico ci aveva regalato da bambini, e con cui abbiamo giocato ogni domenica (e pure qualche mercoledì) per gran parte della nostra vita? Ricordate com’era divertente? Che bella sensazione quando vincevate? Ecco: ce l’avete ancora, fra le vostre mani, anzi ora ve lo lasciano più spesso, ve lo danno pure ogni giorno se volete. Solo che non è più divertente. Non è mai appassionante. Somiglia sempre più a un videogioco in 2d anziché a un giocattolo. E…non vincete mai.

generico-2018-727029.610x431-330x233Ma c’è un punto che non si può ignorare: questi partecipanti che portano il De Coubertin al parossismo, tutti questi club che possono solo partecipare, sono la maggioranza. Un’amplissima maggioranza. Di fatto, i giocatori cui è consentito vincere, i giganti schiacciatutto, sono in realta pochissimi: in Italia, giusto 3. In tre, con l’eccezione del biennio a cavallo del 2000, si sono spartiti le vittorie degli ultimi 30 anni. Tre e in trent’anni!
E la tendenza, con la parziale eccezione dell’Inghilterra (che comunque per altri aspetti finanziari è invece in prima fila in questo movimento), è come si diceva globalizzata: in Italia si è recentemente stabilito un monopolio, così come in Germania e in Francia; duopolio invece quello spagnolo, ma la sostanza non cambia.

La splendida alternanza che un tempo permetteva a tanti di poter vivere momenti felici, e a tutti di poterci ambire, non è destinata a cambiare entro l’orizzonte temporale che ci è dato di poter ragionevolmente prevedere (salvo sporadiche eccezioni, che in quanto tali non spostano il treno del pallone dal proprio ineluttabile binario); può solo peggiorare. Quale la soluzione, allora, per tutte quelle persone innamorate di un passatempo unico, storico e totalizzante quale è lo sport più bello e popolare del mondo?

Abbandonarlo? C’è chi suggerisce pure questo, e io a costoro mi sento di rispondere solamente “col cazzo”. E sì che ci ho provato, eh. Dopo Calciopoli, dopo le innumerevoli macchie che una dopo l’altra hanno finito per costellare questa mia coperta di Linus a esagoni&pentagoni. Ma nonci sono riuscito; e “in effetti non voglio farlo”, come ammise Bilbo prima di lasciare Casa Baggins. No, non lo lascio. Non me ne vado.

Ma forse… Forse c’è un’alta soluzione; sì! Era tanto semplice. Eccola: “ANDATEVENE VOI”.

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Personalmente caldeggio da anni la creazione di una Super Lega, la chiamavo così quando non esisteva ancora nemmeno il progetto (e questo dimostra l’originalità tanto dei club coinvolti quanto la mia).

Prendiamone atto: noi e loro non giochiamo più allo stesso gioco. Non sono poi stufo di tifare per una squadra che non vince; cioè sì, un po’ sì, lo sono. Ma è molto più stancante, molto più schiacciante il pensiero di tifare per una squadra che non potrà vincere mai. E questo pensiero accomuna tutte, ci accomuna tutti: non potrà mai vincere il Torino, in questo nuovo calcio. Così come non potrà il Genoa, nè il Parma, il Palermo, l’Athletic di Bilbao, il Valencia, il Nantes, il Nizza, l’Eintracht di Francoforte, il Werder di Brema…
Liberarsi dei dittatori è sempre una scelta giusta. Non si riceve contestualmente la garanzia di successiva felicità, ma si ottiene la possibilità di poterla ottenere (con bravura, impegno, pazienza, e certo anche denari spesi bene).

In termini più fattuali: 12 club si sono decisi finalmente, dopo qualche anno di manfrina, a compiere un passo ufficiale verso la creazione della mega-cosa. Le ragioni? Soldi. Non ne hanno abbastanza? Oh sì, ma hanno ancora più debiti (qualcosa come 8 miliardi complessivi). La federazione continentale europea (e di rimando anche quella mondiale) ha risposto come da aspettative: “Se volete la guerra, e guerra sia”.

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Una guerra (forse) per tre finali. Da più parti si covano dubbi rispetto all’effettivo scoppio del conflitto armato fra i 12 apostoli del Dio Denaro e l’altrettanto avida UEFA. Nel momento in cui un novello Gavrilo Princip senza pistola, diciamo per esempio un pistola come Andrea Agnelli, dovesse sparare il colpo metaforico che dà fuoco alle ceneri, allora io personalmente scommetterei sulla vittoria dei club.

O meglio, io spero vincano i club. E spero anche che la federazione applichi le proprie ritorsioni.

Mi spiego meglio. Fatta la prima mossa, ora ci sono tre scenari possibili per il prosieguo del film. Uno in cui la UEFA si incazza così tanto che le società “ribelli” (mi fa sempre sorridere associare questa parola ai tycoon asiatici e americani che possiedono le società calcistiche in questione) tornano sui propri passi e si rimangiano ogni velleità bellica, e tutto torna come prima. Si legge da più parti che sia una strada realistica, ma io ci credo poco. Innanzitutto, perché la rabbia di Infantino è un ruggito del coniglio che difficilmente può spaventare lupi e squali. In secondo luogo, perchè nessuna delle tre parti (club ribelli, federazione e club allineati) pretenderebbe risarcimenti o punizioni.

Lo scisma tira sempre

Lo scisma tira sempre

Il secondo scenario è quello che sogno. Quello in cui i club in questione (cui se ne aggiungerà qualcun altro dopo aver intravisto i primi successi dei 12, diciamo un po’ come il governo italiano nel 1940), vincono, e la federazione di contro li caccia da ogni competizione nazionale. Nasce un nuovo ente, che va a federare i suddetti “big” i quali costruiscono la loro Super League come un nuovo campionato, una Champions continuativa, e non partecipano più alle competizioni domestiche. Intendiamoci: credo poco a quel che ho scritto quando ho scritto “li caccia”. E non perché non pensi che accadrà, bensì perché penso sia una scelta letteraria inappropriata: io penso infatti che i club non vedano l’ora di farsi mandare fuori da Serie A e affini.

Specie se dovessero riuscire ad allargare i propri ranghi fino a 18-20 partecipanti almeno, eccolo allora il vero super campionato. E no, non ci sarebbe più posto né soprattutto interesse per quelli nazionali. Solo che abbandonare i campionati di propria volontà e unilateralmente è un’ipotesi da scartare, tanto sarebbe faticosa e complessa sotto l’aspetto giuridico, e drammatica sotto quello delle relative conseguenze economiche. Molto meglio, molto più conveniente e meno impegnativo, farsi cacciare. Qualora le società coinvolte tenessero duro, potrebbero arrivare a questo risultato, che io sono piuttosto certo in cuor loro auspichino (naturale non possano dichiararlo alla stampa).

Ed ecco realizzato il mio vecchio sogno: una Serie A senza le Juventus, Milan e Inter. Sarebbe un campionato di secondo livello? Sarebbe dichiaratamente inferiore? Non lo so, e non mi interessa. Tanto, oggi il nostro campionato, quello in cui competiamo noi, è già un campionato di livello inferiore. Ècome giocare in categorie diverse, ma forzatamente dentro la stessa categoria. Con distacchi di 40, 50, 70 punti. È già così, sono già due campionati diversi, con regole diverse (non penso alla distribuzione dei calci di rigore, ma a quella dei proventi delle tv), forzatamente insieme per il divertimento di nessuna delle due parti.

"Riuscite a immaginare una Serie A senza strisciate?"

Quel che so è che sarebbe un campionato dove potremmo riabbracciare l’alternanza, figliola prodiga. Dove tutti potrebbero tornare a sperare di vincere, se non quest’anno, quello dopo, magari quello dopo ancora, magari anche più in là. Ma non mai.

La UEFA ha tutto da perderci: il prestigio, l’idea di giocare le coppe senza le migliori (la Champions a quel punto potrà essere direttamente chiamata Coppa Bayern, in attesa della finale da giocarsi rigorosamente ogni anno contro il Paris-Saint Germain). I giocatori più forti. E tutto ciò che intorno a quei marchi e quei cognomi gira, quel vorticoso turbine di miliardi.

Magari terrebbe duro per un po’, ma finirebbe per perdere. La minaccia di questi giorni, “i giocatori di quei club non giocheranno più per la propria Nazionale”, è anch’essa una zampata con artigli di micetto: periodicamente alle prese col problema di riaccendere l’interesse per le competizioni delle nazionali, come potrebbero UEFA e FIFA immaginare un Europeo o un Mondiale senza stelle? Considerando inoltre che quei proventi vanno per quasi il 100% direttamente nelle proprie casse, a differenze di quanto avviene con le competizioni per club.

Club che, dal canto loro, non molleranno l’idea facilmente: JP Morgan garantirà a ogni club 400 milioni di euro solo come entrance fee! In pratica, il chip che con gli amici metti sul tavolo quando volete iniziare un pokerino serale. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza: attualmente, la società che la Champions la vince guadagna in tutto meno di un quarto di quella cifra iniziale.

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Questo, il mio sogno. Poi c’è l’incubo: il terzo e ultimo scenario. Quello in cui le due parti in lotta si accordano, l’intenzione della SL (uè Infantino, ho già anche la sigla, se vuoi ti vendo i diritti) ritorna nel cassetto del comodino del rampollo monocigliato, e finisce tutto quanto a tarallucci & sangue. Quello in cui i club “accettano” di rientrare fra i ranghi, a patto di ottenere ancora più risorse, e ancora più potere (che so, posti garantiti in CL a prescindere dal piazzamento). E questa sarebbe la perpetuazione del noioso e mai entusiasmante calcio che viviamo da decenni, con la riduzione sotto zero delle nostre possibilità di gioia. Ecco che sì, giocheremmo ancor più in un campionato di fascia B, come segmento all’interno – nominalmente – della Serie A.

Siamo dei vecchi di merda e ci piace così. No, grazie. Se ne vadano. Ci lascino giocare. Ci considerino come vogliono: inferiori, “locali”, sai quanto ci può interessare; sapessero come noi consideriamo loro. Ci lascino giocare.

Noi ci divertirem(m)o: loro, chissà? Come dice qualche saggio, Real Madrid-Liverpool genera eccitazione e aspettative perchè succede una volta ogni morte di vescovo, ma se invece si tenesse una volta ogni rutto di Salvini perderebbe la gran parte del proprio fascino.

Magari avrebbe successo, la SL. Del resto, si diceva, è lo specchio della realtà: e nel mio lavoro in campo educativo conosco, e da 15 anni almeno, ragazzini che qui a Torino dichiarano di tifare “per il Chelsea”. Non per modo di dire, davvero non simpatizzano per la Juve o altro.
– Tu per che squadra fai il tifo, Valerio?
– Paris-Saint Germain (ipotizzando che il ragazzino nella sua testa lo scriva correttamente, ndr)
– No ma non dico in, che so, Champions… Dico proprio la tua squadra del cuore
– Sì, io tifo Paris-Saint Germain
– …

ImmagineSi tratta di prendere atto della realtà. Io capisco i tifosi del Liverpool che ieri appendevano sotto la propria curva degli striscioni che annunciavano la morte del club, sono loro vicino col cuore, davvero. Ma al tempo stesso direi loro, se li incontrassi: “Guys, guardiamoci negli occhi. Non potete parlare e pensare come se foste tifosi di un local team. La squadra che supportate è in realtà un colosso finanziario che vale più di diverse Nazioni indipendenti e membri dell’ONU! Il principale azionivsta del vostro club è uno yankee che possiede anche i Boston Red Sox, che possiede tutto il circuito Nascar, tra i vostri azionisti c’è chiunque, c’è persino LeBron James santo cielo” e poi li abbraccerei, eh. Ma non possiamo fare le verginelle, come se fino a ieri avessimo fatto la guardia al sacro fuoco di Olimpia e oggi all’improvviso scoprissimo con orrore il denaro. Il “no al calcio moderno” aveva senso, eccome, ma dovevate esserci 20 anni fa. Farlo stamattina strapperà applausi al pubblico di Operazione Nostalgia, ma a me suona un filo ipocrita se avete applaudito tutto questo sino a oggi…

Dei tifosi, in tutto questo, ai giganti importa nulla. Se anche volessimo illuderci che il pubblico europeo rifiuterebbe la Super Lega, che non cederebbe alle lusinghe di quella invitante droga leggera rotolante come finisce sempre per fare, beh: “echissenefrega!”, direbbero Florentino Pérez e i suoi compagni di merende, “i nostri tifosi sono ovunque, mica solo a Madrid nè solo in Spagna“. E avrebbe ragione. Vi faccio un esempio veloce, poi giuro che vi lascio andare: la Nigeria. La Nigeria è il settimo stato più popoloso al mondo, oltre 200 milioni di abitanti con un tasso di calciofili che non teme confronti. Calciofili che non seguono tanto il campionato locale, quanto quelli europei; e non li “seguono” come spettatori, ma sono tifosi. Tifosi veri, caldissimi: quando il Real Madrid di cui sopra vince la CL, per le strade di Lagos e Benin City ci sono i caroselli; quando c’è il clasico, si verificano risse e incidenti. Bene: a questi supporter nigeriani, cosa gliene frega del “fascino” delle sfide contro Real Saragozza ed Elche? Pensate forse che vedano qualcosa di negativo nella possibilità di vedere invece Hazard e Benzema che giocano sempre contro Liverpool e Manchester City?

A.D. 1995

A.D. 1995

Naturalmente no, questi sono pensieri che culturalmente appartengono alle tifoserie di antica tradizione come quelle europee. Ma il mercato nigeriano in questo è impermeabile tanto quanto quello indiano e quello cinese. Pérez è a posto così: non gli servono i madrileni.

Per cui questi tifosi davanti alla Kop, che non hanno responsabilità alcuna così come altri tifosi delle 12 sorelle e di quelle che si aggiungeranno, se vorranno essere duri&puri potranno abiurare la propria fede e magari creare qualcosa, come lo United of Manchester a suo tempo. Ma sinceramente, a un certo punto, mi interessa il giusto, eh. Mi interessa di più di noi, di me.
Di poter tornare a “respirare libero e pulito”, come diceva Giagnoni.

ti_amerei_anche_se_vincessiC’era quel due aste fantastico, tempo addietro in Maratona, che pur non essendo un’esclusiva granata diceva secondo me parecchio, su di noi: “Ti amerei anche se vincessi”. Ecco, vorrei poter tornare a dimostrarlo, o a lottare per farlo, o a progettare di farlo, o a immaginare di farlo. Ma a occhi aperti, non come faccio ora nei miei sogni notturni più infantili.

Super League, ti aspetto. Vieni. Vieni, e portali con te. Andate e divertitevi. Noi lo faremo di sicuro.

Oppi
ps: se mai dovesse succedere, una prece per DAZN, che una settimana fa ha comprato i diritti per la Serie A e ora potrebbe aver acquistato un pacchetto senza Juve, Inter e Milan

Benvenuto. Ti disprezzo

Željko Ražnatović era ancora minorenne quando gli agenti del penitenziario di Zagabria, dove si trovava per una rapina in un bar, fecero il suo nome ai colleghi dell’UDBA, la polizia segreta della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia: “E’ pronto a tutto; è astuto; è feroce; ci sembra perfetto per le vostre attività”. E lo era, e lo fu: andare in giro per l’Europa ad ammazzare quei suoi connazionali che non andavano matti per Tito, il quale peraltro ricambiava di tutto cuore, era il lavoro per lui. Anche perchè gli lasciava parecchio tempo libero, che Željko usava per fare il suo secondo lavoro: le amate rapine, possibilmente col morto. La prima a Milano, nel ’74; poi, innumerevoli altre ovunque in Europa. Facile quando hai armi, documenti falsi, e soprattutto la completa immunità in patria, dove Željko ritorna a fine anni ’80 con un pacco di fogli che lo condannano a complessivi 25 anni di carcere (oltre a quelli scontati in Belgio, Italia, Olanda, Svezia…), fogli con cui accendere il camino della gigantesca villa in cui va a vivere. [Continua…]

E’ stato bello

830488-023-kdAE-U100633833953IIB-620x349@Gazzetta-Web_articoloUn ragazzo serio” è una delle espressioni che il giornalista sportivo usa praticamente sempre, quando deve scrivere un articolo su un giocatore ancora poco conosciuto, meglio se giovane, e che inizia a mettersi in luce. Di solito, il giornalista lo scrive anche se non lo sa, come sia il ragazzo in questione; e poco importa se non sia vero: tanto, se su di lui si accenderanno le luci della ribalta, se ne accorgeranno tutti da soli molto presto. [Continua…]

Federico Buffa anticipa il ”suo” Grande Torino

Domani sera, alle ore 22:45 su Sky Sport 1, Federico Buffa racconta il Grande Torino. Questo il titolo della trasmissione (titolo in realtà dell’intero ciclo di puntate) che il collega milanese ha realizzato per onorare il “nostro” 4 maggio. L’ho incontrato al Filadelfia, in compagnia dell’altro collega Marco Parella, mentre i volontari del Museo del Grande Torino (come Paolo Pupillo e Simona Cavallo) facevano nottata con lui per permettergli di realizzare le riprese notturne: dovete ringraziare anche loro, se potrete godervi la serata che si annuncia. [Continua…]

Su Pessotto, la RAI e l’informazione alla Barbara D’Urso

Fra le notizie di apertura del TG1, la testata un tempo ammiraglia dell’informazione in Italia e ormai ridotta a bolso e obsoleto contenitore di veline per pensionati amanti del brontolìo (ma che non disdegnano ogni tanto pure qualche semidimenticata tetta), ieri è stato inserito un servizio su un episodio di una gravità assoluta accaduto a margine di una partita di calcio. A Torino, gli “ultrà” dell’omonima squadra hanno insultato Gianluca Pessotto, dirigente della Juventus, dicendo “Suicìdati” a un uomo che effettivamente il tragico gesto ha compiuto – senza riuscire nel pieno intento – pochi anni fa; un’autentica vergogna, e subito il cuore d’Italia, da Palermo ad Aosta, si stringeva in un coro di vibrante protesta. [Continua…]

Nel limbo

Non ti era bastato, il casino che avevi fatto arrivando. Quando mi avevi fatto fare la corsa notturna che a me sembrava la più inutile di sempre, perchè a cosa serve correre se tanto al traguardo non c’è più nessuno che ti aspetta? Né tu, né la mamma.

Invece c’eravate. C’eri. Ma forse hai pensato che io non ti avessi notato come meritavi. E avevi ragione, sai; papà non stava molto bene, ora va meglio anche grazie a te, ma in quel momento riuscivo solo in parte a rendermi conto della meraviglia che ci era capitata. Hai scelto me, che non ti guardavo poi così tanto, per far arrivare il messaggio: “Scusate, io sto male, ho bisogno di voi”. Resto dell’idea che avresti potuto [Continua…]

Rnk Split: con una Storia così, almeno non chiamatela ”seconda squadra”

Dodici anni ci sono voluti per liberare le narici dal pur paradisiaco odore di bagnacaoda (e dall’assai meno gradevole puzzo che da Vinovo e Venaria ci stringe nella soffocante morsa dei vicini di casa) e tornare ad annusare un’aria internazionale, europea; dodici anni, e tanta attesa ci ha per lo meno tributato la cortesia di farci trovare, sulla nostra strada, due avversarie non comuni. Brommapojkarna IF e RNK Split non saranno nomi onusti di glorie, ché quelli magari (sgraat) li incroceremo più avanti, nei prossimi mesi; ma decisamente non sono due società come tutte le altre. [Continua…]

Chi sono i ragazzi di Bromma e perchè non sono tipi qualunque

La bella gioventù d'un tempo

La bella gioventù d’un tempo

Li ho conosciuti di persona, due anni fa, e mi han suscitato una tale spontanea simpatia che ho iniziato a tifare per loro. Peccato che dovrò sospendere il mio appoggio nei loro confronti per una settimana.
Parlo dei tizi del Brommapojkarna: li conobbi a un torneo giovanile (dedicato agli Allievi Fascia B) nella prestigiosa cornice di Volpiano; ebbene: per un torneo di 15enni era sceso il vicepresidente in persona, signor Fredriksson. [Continua…]