Benvenuto. Ti disprezzo

Željko Ražnatović era ancora minorenne quando gli agenti del penitenziario di Zagabria, dove si trovava per una rapina in un bar, fecero il suo nome ai colleghi dell’UDBA, la polizia segreta della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia: “E’ pronto a tutto; è astuto; è feroce; ci sembra perfetto per le vostre attività”. E lo era, e lo fu: andare in giro per l’Europa ad ammazzare quei suoi connazionali che non andavano matti per Tito, il quale peraltro ricambiava di tutto cuore, era il lavoro per lui. Anche perchè gli lasciava parecchio tempo libero, che Željko usava per fare il suo secondo lavoro: le amate rapine, possibilmente col morto. La prima a Milano, nel ’74; poi, innumerevoli altre ovunque in Europa. Facile quando hai armi, documenti falsi, e soprattutto la completa immunità in patria, dove Željko ritorna a fine anni ’80 con un pacco di fogli che lo condannano a complessivi 25 anni di carcere (oltre a quelli scontati in Belgio, Italia, Olanda, Svezia…), fogli con cui accendere il camino della gigantesca villa in cui va a vivere.

Arkan con la tigre e le TigriNella grande pasticceria del centro di Belgrado che il governo gli ha regalato come copertura per i suoi veri affari comincia a delinearsi il suo nuovo ruolo, il lavoro dei sogni che gli permetterà di riunire in una le sue tre passioni: il saccheggio, la violenza, il calcio. La prima mossa è stata metterlo a capo dei vari gruppi ultras della Stella Rossa: vengono riuniti in uno solo, i Delije (gli “Eroi”), da Ražnatović, che nel frattempo si farà chiamare Arkan e verrà nominato ufficialmente direttore del Centro per la Formazione Militare, dipendente dal Ministero degli Interni serbo. Arkan cambierà poi questo noioso nome in “Le Tigri”; perchè non dimentichiamolo, otre che di un aberrante mostro, è pur sempre di un tamarro slavo che stiamo parlando (si veda la sua vita post-bellica con il matrimonio, la musica, l’Obilic…). Prende a portare con sé una giovane tigre (in seguito la prenderà bianca, chè altrimenti sarebbe stato troppo sobrio), che racconta di aver sottratto a qualche ricco croato di Zagabria, e invece ha coraggiosamente rubato dallo zoo di Belgrado.

 

Le riunioni preparatorie delle azioni che verranno si svolgono fra il presidente della Serbia, il riferimento in campo, e il riferimento fuori dal campo; quest’ultimo è appunto Arkan; il presidente è ovviamente Slobodan Milošević; il secondo si chiama invece Siniša Mihajlović.

Intesa (pour homme)

Intesa (pour homme)

I tre si riuniscono abitualmente a casa di Milošević, e qui si stabiliranno le linee guida per le Tigri, che conteranno di 3000 uomini in parte pescati sugli spalti del Marakana e in parte tirati fuori di prigione tra i peggiori farabutti all’ergastolo (peraltro spesso le due provenienze coincidevano). > Edit: temendo non sia chiaro, preferisco per scrupolo precisare che qui non si dice (non è provato in alcun modo) che Mihajlovic partecipasse attivamente alla stesura di programmi o ad alcun tipo di pianificazione: si dice che presenziava, che partecipava agli incontri a casa Milosevic, nulla più (e nulla meno). <  Il resto è storia nota: il 13 maggio 1990 al Maksimir non inizierà mai il match fra Dinamo e Stella, ma di fatto prese il via la guerra. Da quel giorno in avanti, le Tigri si abbandonarono a un’orgia di morte senza ritorno, abbeverandosi di sangue: bilancio deludente per Arkan quando nelle prime 24 ore uccisero solo 17 innocenti al bar, ma già l’indomani si rifecero con 400 civili, poi 600, poi altri 700 e così via, quindi con l’allenamento arrivarono anche a 20000 persone in un solo giorno. Certo è vero, quasi solo donne e bambini, ma che importa; stuprarle tutte prima di tagliarne le gole è un’operazione che richiede un minimo di tempo in più, rispetto al semplice chiuderli in casa a gruppi di 50 e poi appiccare il fuoco, o al radunare le famiglie sul ponte sulla Drina e poi buttarle di sotto. Arkan, pur non abbandonando mai la pratica omicida, con il tempo preferirà concentrarsi sulla vendita d’armi ai Paesi sottosviluppati (ne aveva troppe e non sapeva che farsene), il contrabbando, il “saccheggio sistematico delle case di amici e parenti di lavorati emigrati ed ex-emigrati”, tutte attività necessarie a placcare in oro le sue ville, nel regno mafioso da lui instaurato.

Ogni essere umano al mondo inorridisce al pensiero di Arkan.

Alcune delle atrocità che commise sono tali che io per quanto mi riguarda ne rimasi segnato in maniera indelebile al solo venirne a conoscenza, a distanza, e non ne scriverò perchè proprio non mi riesce (e poi ci sono tanti libri).

E’ un mostro chi compie un genocidio, ed è un mostro allo STESSO livello – sì, non un solo gradino più in basso, sulla scala per gli inferi – chi quell’orrore non prova; chi minimizza, giustifica, cavilla.

Ogni essere umano al mondo inorridisce al pensiero di Arkan. Tranne uno.

Un saluto di pace (199... no, 2013)

Sloga Sbrina Spasava, un saluto di pace

Siniša Mihajlovic non era solo un suo ammiratore.

Come detto, non era nemmeno solo suo amico: era suo sodale. Parte attiva in quel “concilio ristretto” dove si pianificavano le mosse di quelle bestie affamate che poi sarebbero state liberate nei villaggi dei musulmani di Bosnia.

Siniša Mihajlovic non era solo un suo ammiratore: lo è ancora.

"Le donne non parlino di calcio, non sono adatte"

“Le donne non parlino di calcio, non sono adatte”

Molti ne hanno una pessima opinione perchè è un noto razzista, xenofobo e misogino. Perchè ha dato del “negro di merda” a Vieira (ma a un calciatore meno famoso aveva già in precedenza gridato “schifosa scimmia negra”); per quel che fece allo “zingaro” Mutu; per le sue parole sulle donne, per il suo ottuso ostracismo ad Adem Ljajic che semplicemente “non cantava” le parole di un inno che in effetti non gli appartiene, per tanti gesti che nel complesso dipingono il ritratto di quello che il Guardian ha definito nientemeno che “the nastiest man in football”.

E invece no, non è da questi dettagli che ci si deve ritagliare un’immagine di Mihajlovic. Non è per questo che mi fa schifo. Perchè tutte queste spiacevolezze diventano trascurabili inezie davanti a un uomo (e mi scuso per l’utilizzo della per lui eccessiva definizione “uomo”) che oggi, nel 2016, definisce il suddetto Arkan “un eroe”. Ratko Mladic, “un grande guerriero”. Per questo mi fa orrore: perchè quando un uomo parla di Srebrenica sapendo dire solo “Per la patria si arriva a fare qualunque cosa”, dovrebbe calare il gelo, fino a penetrarci nelle ossa; se non ci succede, c’è qualcosa che non va.

"Un eroe, non lo rinnego" (cit. 2010)

“Un eroe, non lo rinnego” (cit. 2010)

Ma capisco pure che di primo acchito possa riuscire difficile. Perchè l’individuo in questione è uno famoso, una star: va in tv, volente o nolente ci incappi quotidianamente o quasi su Sky, lo vedi a fare il coglione con Cattelan e le bacinelle; le nostre menti faticano ad associare, a uno che in uno studio televisivo luccicante si lamenta per un fuorigioco, l’immagine del sodale di stupratori, torturatori e pluriomicidi che in effetti è. Come nota anche Dejan Anastasijevic, “le persone non si preoccupano più di un’affiliazione politica, se sei una stella; finchè hai successo, ti vengono perdonate le tue follie”. Però questi sono i fatti; questo è l’uomo, queste le sue idee. I suoi “valori”, quelli che ieri ha affermato riconoscere in quelli del Toro. Dei quali evidentemente non ha la minima idea.

Quei valori incarnati nel suo idolo Arkan, la Tigre che fece omaggiare all’Olimpico dai degni compari Irriducibili; allora Mihajlovic venne spernacchiato a dovere dall’unica curva che di valori ne ha (ne aveva?) davvero, con lo striscione più bello di sempre.

Onore al Gatto Silvestro

E oggi, con il suo arrivo proprio qua, chi lo saluta gioioso sventolando un fazzoletto non si rende conto che sta in realtà agitando un brandello di quello striscione, che ha strappato.

Io tiferò perchè il Toro che tu alleni vinca, io; non tiferò per il tuo fallimento o il tuo esonero, Mihajlovic. Ma ti disprezzo.

SFT,

Oppi

p.s.: che nessuno mortifichi la propria intelligenza obiettando che “la politica non deve entrare nel calcio” o che “guardo solo l’allenatore, non l’uomo”; non quando lui stesso è stato il primo a mischiarle, non quando è stato al centro del progetto che fondeva il calcio con la politica. Come peraltro accade sempre, quando in maniera più stretta e quando più labile, che ne siamo consapevoli o meno.

Stante il dibattito che si è ingenerato in merito sui social, superiore per dimensioni a quanto avrei mai potuto immaginare, ai lettori di questo post – che altro non è se una personale opinione – segnalo altre fonti per poter disporre di maggior materiale e più numerosi punti di vista per formarsi il proprio. Ovviamente il materiale sull’argomento è complessivamente abbondantissimo, ma questi sono i suggerimenti dati o ricevuti dai commentatori nel dibattito scaturito da questo preciso post.
– Christopher S. Stewart, “Arkan, la Tigre dei Balcani”, Alet ed., 2009
– Marko Lopušina, “Komandant Arkan”, Legenda, 2006
– “Mister Condò, Mihajlovic e i rapporti con la tigre Arkan”, http://video.sky.it/sport/calcio-italiano/mister_condo_tutti_i_video/p2646.pls
– “Guerra e pace”, http://www.ultimouomo.com/sinisa-mihajlovic-guerra-pace/
– “Mihajlovic: «Vi racconto la mia Serbia, prima bombardata e poi abbandonata»”, http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/rossoblu/2009/23-marzo-2009/mihajlovic-vi-racconto-mia-serbia–prima-bombardata-poi-abbandonata-1501110975607.shtml
– Paolo Rumiz, “Maschere per un massacro”, Editori Riuniti, 1996
– “Storia: si poteva salvare la Jugoslavia? Il mito delle proteste belgradesi del 9 marzo 1991″, http://www.eastjournal.net/archives/72718

 

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