Rnk Split: con una Storia così, almeno non chiamatela ”seconda squadra”

Dodici anni ci sono voluti per liberare le narici dal pur paradisiaco odore di bagnacaoda (e dall’assai meno gradevole puzzo che da Vinovo e Venaria ci stringe nella soffocante morsa dei vicini di casa) e tornare ad annusare un’aria internazionale, europea; dodici anni, e tanta attesa ci ha per lo meno tributato la cortesia di farci trovare, sulla nostra strada, due avversarie non comuni. Brommapojkarna IF e RNK Split non saranno nomi onusti di glorie, ché quelli magari (sgraat) li incroceremo più avanti, nei prossimi mesi; ma decisamente non sono due società come tutte le altre.

Il suddetto simpaticone

Il suddetto simpaticone

Degli svedesi si è già detto prima di incontrarli, e pure lo Split qualcosa in comune con loro ce l’ha: il fatto di essere sopra ogni cosa una scuola. Prima di tutto un grande vivaio, poi una società di professionisti. Ultima stellina in ordine di tempo uscita dall’accademia spalatina: Ante Rebić, nazionale croato reduce dai Mondiali, quel simpaticone che all’ultima di campionato, con la maglia della Fiorentina, segnò un gol e si impegnò come un pazzo per impedirci di essere qui oggi a incontrare la squadra che l’ha cresciuto.
I giovani sono la sua linfa da sempre, insieme alla rabbia che scorre nelle vene; sintetizzare un po’ della storia unica di questa realtà, con l’aiuto dello splendido collega Kramarnic, vale la pena. Leggete, se vi piace il calcio che si intreccia con la Storia e gli uomini.

La prima formazione. Se vi sembrano adolescenti, è perchè lo sono

La prima formazione. Non sembrano adolescenti, lo sono

Nel 1906, proprio mentre sotto la Mole nasceva una certa squadra, lì era tutta campagna, ma specialmente era tutto impero austro-ungarico. Un gruppo di ragazzi spalatini che studia a Praga scopre qui il gioco del pallone e se ne innamora. Sono giovani uniti da un ideale comune: l’anarchia. Proprio per questo non interessa loro assegnare alla squadra che creano i crismi dell’ufficialità. Tutto cambia dopo che, quando erano già rientrati in città, viene invece fondato l’Hajduk; “quelli lì” non suscitano nei nostri amici una particolare simpatia, e i ragazzi capiscono che, se vogliono provare a sfidarli, devono fondare ufficialmente il proprio club. Lo farebbero l’indomani, se potessero, ma la burocrazia non sembra volerli agevolare troppo; sarà forse perchè il nome che vogliono registrare per la società, “Anarh”, non fa impazzire di gioia le segreterie imperiali? Dico forse, eh.

Ci mettono un anno a completare la pratiche, ma – approfittando di un grande sciopero degli studenti – ce la fanno. Il primo presidente, Šimun Rosandić, ha 18 anni. Tutt’ora è conservato il foglio su cui scrisse le motivazioni per la fondazione del club:

Noi alunni della Scuola Artigianale abbiamo deciso di fondare un club calcistico. Giochiamo per diletto, ma anche in segno di protesta contro ogni male. Il nome l’abbiamo scelto perchè ci pareva il migliore, perchè racchiude in sé anche qualcos’altro; cosa? Ebbene, almeno a questo ci pensino gli altri!

Fantastico. Vergato con tutta evidenza da ragazzi giovani, molto ironico, modernissimo.

La prima maglia: colore, nero anarchia

La prima maglia: colore, nero anarchia

Le altre società però iniziano a far loro terra bruciata intorno. Non accettano di giocare con loro, che sono invisi al regime. Ma tanto, tempo due anni e tutto viene bruciato dalla Guerra.
Quando finiscono di cadere le bombe, il mondo non è più lo stesso. Non sono più gli stessi gli uomini e le loro istanze; si affievolisce la fiaccola dell’anarchia, la popolazione che gravita intorno all’Anarh ormai si identifica sempre più col movimento operaio, e tutti i soci non vogliono solo fare calcio ma promulgare le comuni idee. Non sono più gli stessi i Balcani, dove nasce una nuova Nazione dal nome facile-facile: “Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni”. Succede che intanto la prima partita dell’Anarh, avversaria l’Hajduk, non vada benissimo: 11 a 0. Ci credereste, però, che quella dopo va anche peggio?

Siamo nel 1919, gli avversari di sempre si portano in vantaggio, i “rossi” (ormai li chiamano tutti così, e non solo per il colore della divisa) pareggiano ma l’arbitro annulla per un fuorigioco che nemmeno i difensori avevano chiesto o visto, seguono altri episodi dubbi finchè i giocatori dell’Anarh, supportati in questo dal proprio rumoreggiante pubblico, decidono addirittura di abbandonare il campo. Ora sono quelli dell’Hajduk a protestare: rissa, botte da orbi in ogni parte del campo, i Crveni đavoli (“Diavoli Rossi”, i tifosi dello Spalato) iniziano a partecipare, a un certo punto la situazione sembra risolversi con una soluzione che solo qui potrebbe funzionare: nel bel mezzo del campo viene indetto un comizio politico per il quale magicamente tutti si fermano. Poi, proprio le parole dette dall’improvvisato palco non piacciono a tutti e danno il “la” ad altri pugni in faccia, fino all’intervento della polizia.

La partita non verrà mai conclusa, la dirigenza viene convocata dal capo delle forze dell’ordine croate il quale la accusa di voler fare politica e non sport, e chiede lo scioglimento della società. Rissa in commissariato (stavolta solo verbale), che si chiude alla fine con una decisione diversa: “Dovete cambiare quel vostro nome”. L’Anarh manda giù il rospo, e siccome con i nomi ci sa fare, si chiamerà “Jug”, come suggerimento alla politica perchè pensi magari a chiamare “Jugoslavia” il nuovo Paese, anziché usare il pur agevolissimo (!) “Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni”. Nel giro di pochi anni, per la cronaca, il suggerimento verrà ascoltato.

Gallery dell'evoluzione dei loghi ufficiali dello Split

Gallery dell’evoluzione dei loghi ufficiali dello Split

Intanto la nuova-vecchia società si riorganizza per bene, e per la prima volta trova anche una vera sede societaria; nella Casa degli Operai, ça va sans dire. Il primo torneo regionale viene vinto dallo Jug davanti ai rivali cittadini, bomber è un dalmata italiano: Tomo Madirazza. Seguiranno 11 campionati regionali consecutivamente vinti dall’Hajduk, con lo Jug quasi sempre secondo, ma le cose per lo meno sembravano finalmente tranquille. Senonché, prendeva sempre più piede in alcuni ambienti un certo sentimento anti-comunista. Sentimento che serpeggiò per le strade, fino a concentrarsi proprio sullo Jug; alle persecuzioni giudiziarie fecero seguito violenze vere e proprie, fino alla drammatica nottata del 20 luglio 1921, quando la storica sede di via Plinarska venne data alle fiamme. Non si salvò nulla, e la polizia stette a guardare senza intervenire.

A questo, fecero seguiti divieti di lavoro per i dirigenti e altre vessazioni. Dopo aver ucciso lo Jug, volevano assicurarsi che le ceneri fossero del tutto spente.
Invece, incredibilmente, la creatura non era morta.

Chi rimase cercò di fondersi con lo Slavija, ma glielo impedirono; alla fine lo fecero con lo Split, squadra di studenti: ma anche questa venne martoriata di provvedimenti, sconfitte a tavolino e quant’altro, fino al manifesto divieto di partecipare a qualsiasi competizione. Allora dirigenti e giocatori emigrarono nel Borac, che per un paio d’anni vinse tutte le partite tranne quelle con l’Hajduk, le quali finivano regolarmente 0-3 all’andata e al ritorno. Non sul campo, ma a tavolino: c’era sempre una qualche cervellotica irregolarità che determinava questo risultato. Anche le altre società cittadine (dal Dalmacija allo Hašk) pian piano non ne poterono più: nel 1928, l’Hajduk vinse il campionato perchè…era l’unica partecipante!

Gli slavi alla Guerra di Spagna

Gli slavi alla Guerra di Spagna

Alla fine, gli oppositori degli egemoni cittadini e regionali si riorganizzarono, in un nuovo Split. Che subì nuove ingiustizie: vennero cambiate in corsa le regole dopo che per la prima volta si erano qualificati al Campionato Nazionale, nel 1933. Delusione troppo grande da smaltire, alcuni giocatori lasciano il calcio e si arruolando volontari in Spagna per combattere contro i franchisti. Tra quelli che rimangono, in sei chiedono per la prima volta un compenso, “come tutti”; la risposta: “Noi siamo socialisti!”, espulsi dal club. Un club che nel 1939 trova per la seconda volta la qualificazione al Nazionale. Ma non parteciperà mai al campionato, perchè in quei mesi la Jugoslavia e il mondo intero avevano altro a cui pensare. E i dirigenti dello Spalato pensarono che quel che stava accadendo era troppo serio per il semplice calcio: unici al mondo, sciolsero volontariamente il club. L’Hajduk, tanto per fare un esempio, non smise mai di giocare.

Tito

Josip Broz aka Tito

Tutti i dirigenti e i calciatori dello Split si unirono ai partigiani di Tito (senza peraltro esservi amici, nè prima nè dopo). Tutti.
Fra i non moltissimi che tornarono quando fu firmata la pace, subito si volle fare rinascere la società, che abbandonò pure i dissapori con l’Hajduk diventandone amica. Nel 1957 arriverà la tanto sospirata promozione in prima serie, tre anni dopo ecco la seconda, con i rossi che erano veramente dei dilettanti in mezzo ai professionisti. Ma entrambe furono apparizioni brevi con retrocessioni amare dal retrogusto di pastetta: nel primo caso scesero per differenza reti con l’avversaria di turno che all’ultima di campionato avrebbe dovuto farne 4 e – guarda un po’ – li fece, mentre nel 1961 ci fu un biscotto per mandarlì giù di un solo punto.

La società si demoralizzò per questi avvenimenti, le cose andarono di male in peggio: a inizio anni ’70 finì in terza serie, mentre nel 1981 conobbe perfino l’umiliante retrocessione in quarta. Tornata in seconda, nel ’91 alla nascita del campionato croato – dopo l’indipendenza dichiarata dal Paese – avrebbe dovuto iniziare nella Serie A della ritrovata patria post-jugoslava, secondo il piazzamento della stagione precedente, ma considerazioni geo-politiche fecero decidere la nuova federazione per un’altra società (l’Istra): ennesima ingiustizia per i rossi, che di nuovo rotolarono in basso, fino a toccare il fondo: sarebbe a dire, fino alla quarta serie croata. Poi, nel 2006, mentre il Toro risorgeva dalle proprie ceneri, altrettanto faceva lo Spalato, che sfiorava la promozione e la centrava l’anno dopo.

Stagione 2007/2008: vittoria del campionato di quarta serie; 2008/2009: vittoria del campionato di terza serie; 2009/2010: vittoria del campionato di seconda serie e prima volta nella Serie A croata. E che esordio: stavolta niente retrocessione, anzi, terzo posto, a soli due punti dall’Hajduk!, e qualificazione ai preliminari di Europa League! Un sogno a occhi aperti, interrotto solo al terzo turno contro il Fulham. Nell’anno del centenario, lo Split arriva quarto, l’anno dopo quinto ma con un risultato da orgasmo: pari punti in classifica con l’Hajduk. Siccome però una è quella baciata dalla dea bendata e l’altra da quella che ci vede benissimo, in coppa ci vanno i cugini ricchi per appena 2 gol di differenza reti.

Split-Fulham

Split-Fulham

E oggi, ecco di nuovo in EL la società rossa guidata dai fratelli Žužul (presidente e vicepresidente), che nella storia ha formato calciatori e allenatori diventati grandi altrove (come i più grandi di sempre della Croazia, Tomislav Ivić e Mirko Jozić) e che nella sua vita si è presa tanti di quegli sganassoni in faccia da fare quasi invidia perfino al Toro. Ma è ancora viva e scalciante, anzi sta conoscendo il momento migliore dei suoi 102 (o 108) anni: i rossi sono consapevoli di chi sono e da dove vengono, ma sono esaltati come non mai. Hanno superato tre turni, in squadra hanno alcuni ottimi giocatori, nazionali o ex nazionali croati come Mate Bilić (che molti ricorderanno bomber e bandiera dello Sporting Gijòn), come Dujmović o come capitan Križanac, che la Coppa l’ha perfino già vinta, con lo Zenit.

Lo Spalato sa di trovarsi di fronte il Toro, noi dovremmo sapere di trovarci di fronte a qualcuno per cui “bombe e sangue” non è solo una canzoncina, ma l’elemento principale della propria storia. La curva coi suoi Crveni đavoli farà (lo dice il nome) un tifo indiavolato, ma alla fine sono tifosi abbastanza nonviolenti. (Oggi; una volta, nel 1938, giocatori e dirigenti dello Slavija furono praticamente lapidati dai sassi lanciati dai rossi). Sul campo, si diceva dei buoni giocatori ma certo non sono il Bayern (ieri han preso 3 pere dal Rijeka, e soprattutto non hanno impensierito mai una difesa guidata da Dario Knezevic – sì, proprio l’uomo del derby di mercato), ma nemmeno sono i ragazzi di Bromma. Se il Toro fa il Toro, impegnandosi come di norma fa, non avrà problemi. E, a partire dal giorno dopo, saremo perfino autorizzati – se vorremo – a fare il tifo per il piccolo Split, ricordandoci che “seconda squadra della città” è un’espressione che a noi granata proprio non dovrebbe piacere.

Commenti

  1. Max dice

    Gran pezzo, molto interessante. Ci sono varie similitudini con l’unica squadra di Torino, quella che veste il granata…Grande Ale.

  2. dice

    Bellissimo articolo! Tanto quanto quello sul BP. E bellissimo è anche avere la conferma che siamo in tantissimi, ovunque, ad amare questi racconti il che significa anche le realtà incredibilmente più numerose di quelle che fanno i titoloni e di cui fra Gazzetta, Tuttosport, CdS ecc ecc nessuno parla mai… se non scopiazzando qua e là per darsi un tono senza capirne quindi non facendone nemmeno capire troppo… Un abbraccio da Buenos Aires, dove mi piacerebbe che venissi a trovarmi alloggiando magari (lo dico solo per questione di comodità e cuore) al mitico Hotel Torino che è quello col simbolo del Toro… ricordi?

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